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sabato 21 aprile 2012

STORIA

stemma dei Savoia

" Tutti erano poveri e nessuno era misero" diceva Peguy, parlando delle società del passato ed avendo parzialmente ragione. Certamente ci saranno state minori le libertà e la piramide sociale molto più cristallizzata, ma quasi da soli, artigianato e agricoltura erano riusciti a dare solide basi all'economia. Questa non poteva essere paragonata a quell'attuale, tuttavia, essa non creava ne alimentazione "da lavoro" ne da "mancanza di lavoro". L'artigiano, ancor più del contadino, era un "homo faber", un inventore, anche quando lavorava entro modelli consolidati. I suoi problemi potevano essere immediati e materiali, ma molto raramente erano di ordine morale, perchè possedeva valori fondamentali, che gli conferivano una solida traccia di vita e che furono assolutamente indiscussi fino all'avvento della rivoluzione industriale. Il fatto di continuare una tradizione familiare o locale, seppure rivissuta alla luce dei tempi nuovi ad attraverso nuovi segni, era per lui, in primo luogo, un vanto e, poi, il simbolo della felicità ad un impegno verso la prosperità. Anche quando fosse stato un innovatore in politica, preferiva essere un conservatore nella quotidianità, fatta di piccole cose e di gesti metabolizzati. Tutto ciò era un "patrimonio". Esso fu un pilastro dell'economia locale, in un territorio che costituì un punto d'incontro di varie civiltà (ligure, celtica, greco-ellenistica, romana, tardo gallo-romana e, ancora, barbarica, occitana, franco-provenzale e padana) e subì, in epoca moderna, varie dominazioni (francese e spagnola), vide le guerre di religione tra cattolici e protestanti e l'adesione, dal XV secolo in poi, delle classi superiori alla cultura italiana, verso la quale fu indirizzata l'intera popolazione, per volontà dei Savoia.
operai nella "cava Cassetta" anni trenta
presa dal libro "la pietra di luserna"
 Questa casata, a partire da Emanuele Filliberto, riuscì a convincere con i fatti la gente, anche quella umile, ad essere fedele, prima ancora che le popolazioni si ponessero domande sulla rispettiva identità, che avrebbe potuto essere occitana, franco-provenzale, piemontese, francese o italiana. Nel Medioevo, gli abitanti gli abitanti delle zone prese in esame si definivano semplici "cristiani" e, successivamente, si sentirono "sabaudi": fedeli sudditi della Corona, anche se parlavano un dialetto del tutto diverso da quello di Torino, perchè fortemente influenzato dall'occitano alpino, se vivevano in abitazioni di stile franco-provenzale, penetrato dalla Val Susa e se erano stanziati al confine con quel grande Stato assolutistico e culturalmente livellatore, che era il Regno di Francia. Questo "popolo sabaudo" cercò di scegliere ciò che ritenne meglio per se stesso, prendendolo a prestito delle grandi culture che lo circondavano, perchè non possedeva uno spirito fortemente inventivo: le sue caratteristiche migliori erano certo altre...Emanuele Filiberto di Savoia aveva preso in mano un popolo dedito a "pan, vin e tamburin", come scrivevano gli ambasciatori di Venezia, ancora legato fortemente al mondo mediterraneo e lo aveva trasformato in un altro: riflessivo, militaresco, chiuso, ma formalmente cortese, retto da un'animazione che viveva del mito dell'inflessibilità (anche se, spesso, aveva troppo bisogno di denaro, per essere veramente seria). le vicende di cui si narrerà saranno principalmente storie di quelle genti e dei loro discendenti.
operai nella "Cava Cassetta" anni trenta
tratta dal libero "la pietra di luserna"
 Naturalmente, dopo la rivoluzione industriale, chi scese in pianura non volle più vivere come i propri padri; credette di poter migliorare e, almeno sotto il profilo economico, il più delle volte, vi riuscì. Comunque, modificò il suo patrimonio culturale originario o, meglio, lo mutò con un latro. La cultura piemontese gettò il proprio mantello su quella occitana, oscurandola e lasciando che venisse intesa come "meno civile". Ma, come tutti i manti culturali, anche quello fu, fin dall'origine, già forato ed è proprio attraverso tali fori, che noi, oggi, dobbiamo gettare lo sguardo, per comprendere ciò che fu. Qualche volta, utilizzando questo metodo, si potrà tornare indietro solo di qualche centinaio d'anni, altre volte, di migliaio, ma non è importante. Ciò che d'avvero conta è che si tratti di uno sguardo equilibrato, che eviti di rifugiarsi nella facile lode o denigrazione "temporis acti", cioè di ciò che fu e che si è sciolto con le "neiges d'antan". 

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